Dallo Humanistic al Pop Management
Lo scopo di questo sito è di mostrare origini e caratteristiche del Pop Management, ideato da Marco Minghetti. Una interpretazione della società e dell’impresa che si discosta dai modelli di gestione tradizionali, scientifici e razionalisti, per abbracciare una visione più umanistica, narrativa e collaborativa.
Ecco i punti chiave per comprendere cosa si intende con questo concetto:
Eredità dello Humanistic Management Il Pop Management si colloca in continuità con il Manifesto dello Humanistic Management, ideato vent’anni prima dallo stesso Minghetti, che già promuoveva un’alternativa umanistica al management tradizionale, sottolineando l’importanza di identità, narrazione e creatività.
Si formalizzava così la peculiarità della via italiana allo Humanistic Management sviluppata da Marco Minghetti in collaborazione non solo con manager, formatori aziendali ed economisti, ma anche con filosofi, scrittori, artisti come Milo Manara, Luigi Serafini e il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska.
Come sostiene Domènec Melé in The Challenge of Humanistic Management (Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003), il management può dirsi umanistico quando il suo focus è posto sulla integrità etica dell’impresa nel suo complesso e sulla valorizzazione di tutte le potenzialità della persona che opera nel contesto aziendale.
Un primo approccio allo Humanistic Management risale alla metà del ventesimo secolo, fa riferimento alla scuola delle “human relations” ed è centrato sulla motivazione. Un secondo approccio si sviluppa intorno agli anni ’80: con un focus sui processi organizzativi, prende in considerazione l’influenza della cultura d’impresa sui comportamenti individuali e sul decision-making.
Ma solo nella seconda metà degli anni Novanta si afferma uno Humanistic Management basato sull’idea che l’impresa è fondamentalmente un convivio, una comunità di persone, e si diffonde in tutto il mondo, anche se naturalmente assume caratteristiche differenti nei singoli contesti nazionali.
Un approccio multidisciplinare alla comprensione teorica ma soprattutto alla gestione pratica della natura complessa, liquida, delle imprese e della società contemporanee, alternativo alla pervasiva, “solida”, dittatura dello Scientific Management. Quest’ultimo affonda le sue radici in Adam Smith e nella rivoluzione industriale inglese. Ha avuto il merito di rappresentare un punto di vista specificatamente caratterizzato, con una straordinaria capacità costruttivistica e interpretativa della realtà e dell’esperienza organizzativa. A livello della produzione, i riferimenti sono stati la serialità, la standardizzazione, la specializzazione del lavoro e delle mansioni. A livello dello scambio, il mercato di massa e l’orientamento al prodotto e alla quantità. Le organizzazioni ispirate e gestite attraverso la prospettiva paradigmatica dello Scientific Management si pongono come soggetti collettivi chiusi, con una forte capacità previsiva e una visione lineare/sequenziale del processo decisionale. Appare evidente l’inadeguatezza di un tale procedere a fronte di un mondo “complesso”, vale a dire plurale, nonché in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio remoto e di prossimità.
Oggi è necessario guardare ad un nuovo modo di fare impresa, ad una organizzazione fondata su:
Ma per realizzare un modello di impresa collaborativo ciò che occorre, si legge nel Manifesto dello Humanistic Management, “non è un nuovo paradigma, non una nuova verità assoluta, assiomatica, ma piuttosto un nuovo tipo di discorso. Un discorso che metta al centro l’“arte”, quale ci è mostrata in massimo grado da poeti, romanzieri, drammaturghi: da “umanisti” nel senso rinascimentale, narratori di storie, “facitori di senso” (sensemakers) tramite il romanzo, la poesia, l’autobiografia, il teatro, il cinema, ma anche il social networking e il web 2.0”.
È in questo contesto di evoluzione incessante che si colloca il Pop Management, naturale prosecuzione e, al tempo stesso, superamento dello Humanistic Management. Il termine “Pop” rimanda alla cultura popolare come serbatoio di simboli, codici e pratiche capaci di orientare l’agire organizzativo nella complessità contemporanea. Attraverso i Prolegomeni Pop pubblicati su Nova Il Sole 24 Ore, si è delineata una nuova epistemologia manageriale, fondata sull’ibridazione di saperi e sulla valorizzazione di dispositivi estetici, narrativi e performativi.
Il Pop Management non propone un ulteriore modello astratto, ma un insieme di pratiche concrete che mirano a rendere le organizzazioni spazi di senso, apprendimento e trasformazione. Tra queste: l’utilizzo dei linguaggi dell’arte e della fiction per leggere e rappresentare l’impresa; la progettazione di ambienti narrativi e simbolici per stimolare l’identificazione e il coinvolgimento delle persone; la sperimentazione di format esperienziali (come laboratori teatrali, installazioni multimediali, workshop ispirati al design speculativo); l’adozione di strumenti digitali che favoriscono l’auto-rappresentazione, la co-creazione e la disintermediazione comunicativa.
Il Pop Manager si muove tra codici diversi — economici, etici, visivi, affettivi — e agisce come un regista culturale, in grado di dare forma a visioni condivise e di attivare energie collettive attraverso la contaminazione creativa. La sua competenza non è solo tecnica o relazionale, ma anche immaginale: saper evocare mondi, disegnare narrazioni, produrre risonanze. È consapevole che ogni decisione strategica è anche un atto estetico e politico, perché modifica l’orizzonte di senso in cui si colloca il vivere e il lavorare. Per questo il Pop Management si propone come una via italiana alla gestione post-scientifica dell’organizzazione: non un semplice aggiornamento lessicale, ma una trasformazione profonda del modo in cui concepiamo l’impresa, l’autorità, l’innovazione e la comunità








