La via italiana allo Humanistic Management
Come sostiene Domènec Melé in The Challenge of Humanistic Management (Journal of Business Ethics, Volume 44, Number 1, 2003), il management può dirsi umanistico quando il suo focus è posto sulla integrità etica dell’impresa nel suo complesso e sulla valorizzazione di tutte le potenzialità della persona che opera nel contesto aziendale.
Un primo approccio allo Humanistic Management risale alla metà del ventesimo secolo, fa riferimento alla scuola delle “human relations” ed è centrato sulla motivazione. Un secondo approccio si sviluppa intorno agli anni ’80: con un focus sui processi organizzativi, prende in considerazione l’influenza della cultura d’impresa sui comportamenti individuali e sul decision-making. Ma solo nella seconda metà degli anni Novanta si afferma uno Humanistic Management basato sull’idea che l’impresa è fondamentalmente un convivio, una comunità di persone, e si diffonde in tutto il mondo, anche se naturalmente assume caratteristiche differenti nei singoli contesti nazionali.
Lo scopo di questo sito (che ho di recente rinominato “Humanistic Management X.O” ad indicare che le desinenze 2.0, 3.0, 4.0… non sono più sufficienti a definire un processo evolutivo in costante e rapidissima modificazione) è di mostrare la peculiarità della via italiana allo Humanistic Management sviluppata da Marco Minghetti in collaborazione non solo con manager, formatori aziendali ed economisti, ma anche con filosofi, scrittori, artisti come Milo Manara, Luigi Serafini e il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska. Un approccio multidisciplinare alla comprensione teorica ma soprattutto alla gestione pratica della natura complessa, liquida, delle imprese e della società contemporanee, alternativo alla pervasiva, “solida”, dittatura dello Scientific Management.
Quest’ultimo affonda le sue radici in Adam Smith e nella rivoluzione industriale inglese. Ha avuto il merito di rappresentare un punto di vista specificatamente caratterizzato, con una straordinaria capacità costruttivistica e interpretativa della realtà e dell’esperienza organizzativa. A livello della produzione, i riferimenti sono stati la serialità, la standardizzazione, la specializzazione del lavoro e delle mansioni. A livello dello scambio, il mercato di massa e l’orientamento al prodotto e alla quantità. Le organizzazioni ispirate e gestite attraverso la prospettiva paradigmatica dello Scientific Management si pongono come soggetti collettivi chiusi, con una forte capacità previsiva e una visione lineare/sequenziale del processo decisionale. Appare evidente l’inadeguatezza di un tale procedere a fronte di un mondo “complesso”, vale a dire plurale, nonché in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio remoto e di prossimità.
Oggi è necessario guardare ad un nuovo modo di fare impresa, ad una organizzazione fondata su:
- la velocità e la flessibilità nel cambiamento continuo (tema al centro del volume Nulla due volte) di ruoli e modalità operative, che richiedono una forte adattabilità dei sistemi informativi, tempi di risposta sempre più stretti rispetto alle esigenze del business, capacità di supportare processi organizzativi spesso variabili e destrutturati;
- la collaborazione tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti;
- l’apertura dei confini dell’organizzazione per coinvolgere attori esterni quali clienti, partner e fornitori;
- la virtualità nell’accesso a strumenti, informazioni e relazioni, indipendentemente dalla localizzazione fisica e dagli orari di lavoro;
- la spinta alla creazione diffusa e partecipativa di contenuti e conoscenza (co-creation);
- la spinta alla socialità nella comunicazione e nei rapporti;
- una visione etica forte e coerentemente agita.
Ma per realizzare un modello di impresa collaborativo ciò che occorre, si legge nel Manifesto dello Humanistic Management, “non è un nuovo paradigma, non una nuova verità assoluta, assiomatica, ma piuttosto un nuovo tipo di discorso. Un discorso che metta al centro l’“arte”, quale ci è mostrata in massimo grado da poeti, romanzieri, drammaturghi: da “umanisti” nel senso rinascimentale, narratori di storie, “facitori di senso” (sensemakers) tramite il romanzo, la poesia, l’autobiografia, il teatro, il cinema, ma anche il social networking e il web 2.0”.
In questo quadro nasce il Modello di Sviluppo Organizzativo, messo a punto in un anno di studi e ricerche attraverso la Cattedra di Humanistic Management dell’Università di Pavia, per la trasformazione delle imprese in social organization: un nuovo modo di fare impresa che consente ad un vasto numero di persone di lavorare insieme valorizzando le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia. La creazione di valore sociale passa per la capacità di generare la cosiddetta mass collaboration, anche sfruttando le enormi potenzialità dei social media, attraverso l’istituzione di community collaborative. Per ottenere questo risultato diventa in particolare necessario rivedere politiche e strumenti di comunicazione, di formazione, di change management, di relazione con gli stakeholder interni ed esterni.
il Modello, articolato in 4 livelli e 12 fattori chiave, può essere utilizzato come
- framework per il posizionamento dell’organizzazione rispetto al Management che definiamo “x.0″ per sottolinearne il carattere permanentemente evolutivo
- strumento per l’avvio di gap analysis su uno o più dei fattori considerati
- roadmap per un processo di sviluppo evolutivo (a livello macro e/o micro)
- modalità per organizzare le attività training, comunicazione, gestione hr, social innovation
- base per ordinare le community interne/esterne e identificare la necessità di costruirne di nuove.
L’illustrazione di Luigi Serafini è tratta da Le Aziende InVisibili, di Marco Minghetti & The Living Mutants Society, Libri Scheiwiller, 2008.
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