Il bello e il brutto (il basso e l’alto)

Forgdgates ha sempre pensato che un’azienda sia fondata su comando e controllo, organigramma, ingegnerizzazione dei processi, economie di scala: in una parola, principio di non contraddizione più gerarchia. A volte, vedendo i risultati delle sue teorie applicate, mi è parso di essere d’accordo con lui. Fino a quando non ho visitato la Kopiot Oy.

All’ingresso nessuno è venuto ad accogliermi. Mi sono ritrovato in un enorme atrio nella semioscurità con una grande vasca-piscina al centro, che poteva ricordare una domus romana. Mi sono avvicinato alla vasca, aspettandomi il guizzo di allegri pesciolini rossi. Invece il mio sguardo è stato ricambiato da quello inespressivo dei bulbi oculari umani di colore ceruleo che la gremivano. Il liquido nel quale erano immersi era denso. E il motore di qualche impianto – di riciclaggio, pensai – ronzava quasi impercettibilmente.

Il mio primo impulso fu quello di cercare il General Manager e fare una scenata per il modo quantomeno discutibile scelto dalla Kopiot per presentarsi al visitatore. Sarebbe stato meglio, tanto per dirne una, mettere nella vasca uno dei loro modelli di sesso femminile a nuotare sinuoso ventiquattrore su ventiquattro. Mi addentrai a passo baldanzoso pensando alla sfuriata che avevo in mente e pregustandone la soddisfazione. Ma quando, seguendo sia la logica sia la segnaletica, mi ritrovai finalmente davanti a quella che doveva essere la direzione, mi bloccò un’impalcatura coperta da teloni sporchi: lì davanti si affollavano droni operai che si urtavano freneticamente uno contro l’altro, apparentemente non concludendo niente e continuando a ripetere con le loro voci gracchianti: “In manutenzione! In manutenzione!”.

Non mi restava che cercare altrove, forse tra le teste d’uovo del management, del marketing e delle Risorse Umane. Che senso avesse poi parlare di Risorse Umane, in un’azienda come la Kopiot, era tutto da capire.

Casualmente passai attraverso l’Archivio Documentazione, che mi risultò immediatamente strano. Molto strano. Perché in scaffalature sconfinate degne della mitica Area 52 erano conservati faldoni, cartelle, pile di carte. Carte, capite. Che in un’azienda moderna non esistono più da tempo immemore. Che poi era anche poco pratico: guarda quanto spazio sprecato che potrebbe essere riutilizzato altrimenti, mi dissi.

Non vedevo l’ora di raccontare a Fordgates quella follia. Anche se sapevo già che non mi avrebbe creduto. La Kopiot produceva utili. Notevoli. Arrivato in fondo al capannone-archivio, mi ritrovai finalmente davanti un essere umano, un impiegato poco più che maggiorenne, tutto intento a pestare i tasti di una consolle tascabile, al punto che a malapena si accorse del mio arrivo.

Chiesi: “Dove trovo un Dirigente?”.

Lui, infastidito dal fatto che probabilmente distraendolo gli avevo fatto perdere dei punti nel gioco, se non provocato il “game over”, mi fece un cenno col capo verso una porta.

Avrei voluto dirgli la fatidica frase: “Tu non sai chi sono io”, ma ne avevo viste talmente tante nel corso delle mie missioni che mi sarei sentito ridicolo. Quindi aprii la porta e vidi il dirigente. Sorpresa: Medardo Bloomfields, il filosofo. Mioddio. E stavolta non c’era nemmeno Miranda. Chissà com’era giunto fin qui, e perché. Io non ne sapevo niente. Non mi aspettavo di rincontrarlo così presto. Lui si baloccava con i cavallucci di una piccola giostra in latta, che faceva girare sempre più veloce con un dito.

“Ci rivediamo, mio caro Deckard!”, esordì con la verve che gli conoscevo.

Iniziai a temere una nuova lezione. Invece disse subito:“Lo so, non si capisce niente in questa azienda, vero?”.

Usai una tattica consolidata: lasciar parlare lui.

“Non bisogna pensare nei modi nei quali si è abituati qui, dove la dicotomia reale-immaginario tende a fondersi. Occorre applicare dei capovolgimenti, ma non necessariamente veri e propri capovolgimenti: qualcosa di simile”.

“Tipo «il bello è brutto, il brutto è bello»?”.

“Ah, splendida citazione!”. Sapevo che con Shakespeare mi sarei guadagnato il suo plauso.

“Qualcosa di simile, ma  anche qualcosa di simile a ‘Così in Alto come in basso’.

Sempre se si riesce a oltrepassare la soglia ermetica”.

 

Passai il resto della settimana a cercare di decodificare gli Ordini di Servizio, la planimetria, la collocazione dei reparti. Per intraprendere qualsiasi cosa, ci si deve strappare di dosso la propria vita. Adesso mi emoziono ripensando a un punto nodale dell’azienda: la palestra, dove gli androidi-copia appena creati e usciti dalle vasche prendono confidenza con il proprio corpo, con esercizi e prove di ogni genere.

Ci capitai nel giorno in cui si stava concludendo una partita di pallavolo (a un qualcosa di molto complicato che somigliava vagamente alla pallavolo) fra bioandroidi femmina. Erano tutte copie di Miranda.

Mi vennero alla mente gli occhi cerulei della vasca, al mio arrivo. Mi resi conto che si trattava di scarti di produzione di quel bioandroide modellato su Miranda. Solo che tutte queste biocopie avevano i capelli nerissimi. Un vezzo dei Paesi nordici, avere un debole per le brune. Chissà chi aveva

deciso quella variazione sul tema – lo stesso Fordgates, Bloomfields, un bioingegnere che si era invaghito di lei; chissà se Miranda ne sapeva qualcosa.

Una delle Miranda brune che stava testando le proprie capacità smise di fare piroette a tutta birra. Era bellissima, come l’originale. Si fermò a guardarmi con curiosità, mi si avvicinò con estrema lentezza, poi con forza enorme mi gettò sui materassini elastici. Mi schiacciò sotto il suo petto.

Continuò a provare cose nuove, a prendere confidenza con il suo corpo. Mi apparve improvvisamente vero e chiaro che noi esistiamo solo nel breve istante in cui siamo sedotti.

Le cose avvengono sempre come non te le aspetti, alla Kopiot Oy. Stavo imparando. Così non ebbi bisogno che qualcuno mi spiegasse perché nelle zone di produzione venissero diffuse costantemente musiche dark, dagli storici Joy Division ai recentissimi A-entropia. Da una parte all’altra della Kopiot vedevo i dipendenti, dagli impiegati ai biocoltivatori, tamburellare le dita e addirittura improvvisare qualche mossa di break-dance ai quei ritmi deprimenti: secondo la logica della Kopiot Oy, quella tetra radiodiffusione costituiva un modo certo per incrementare buon umore e produttività.

Forse la logica illogica della Kopiot sarebbe stata interessante per Fordgates Jr., sempre alla ricerca di modi nuovi di gestire l’organizzazione. Ritenni quindi il mio compito concluso e decisi di tornare alla base. Come ormai sapevo, capivo, la navetta non sarebbe partita dalla terrazza dell’ultimo piano. Andai nel sottosuolo alla ricerca del piano -3, dove trovai l’hangar sotterraneo. “Ciò che è in basso è come ciò che è in Alto, ciò che è in Alto è come ciò che è in basso. Già. Ma è con queste cose che si fanno i miracoli della Cosa Una?”, mi chiesi, sprofondando vertiginosamente nel blu dipinto di blu.

Tratto da Le Aziende InVisibili, pp. 128-131.

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