Il bazar delle anime

Un grappolo ideario subconscio e vagante di input viscerali per lo più cutanei (prurito, vellichii, la posizione del braccio che era riuscito a muovere) dette luogo a una fase preonirogena in cui vide, dimenticandoli subito per la loro rapidità, dei lampi di luce, dei segmenti geometrici, dei suoni materializzati in assurde combinazioni cromatiche.

Venne attirato verso quel mondo subatomico in cui gli elettroni girano perennemente su orbite statisticamente prestabilite, mossi da forze elettromagnetiche impegnate in un perverso gioco di tipo compulsivo-ossessivo. Il tormentoso dormiveglia infine lo ghermì, trascinandolo nell’Ade sotterraneo dell’incoscienza, in un anfratto recondito del cervello dove l’adamantina luminosità del giorno stava cedendo alle insidie tessute da oscuri presagi serali.

Nel subdolo bagliore crepuscolare, inconsistenti spire ametista avvolgevano un gruppo di abeti, coperto da un manto nevoso. Ai margini del boschetto c’era una casupola, da cui si snodava una striscia fangosa raggrumata in gelidi cristalli iridescenti, che conduceva alle venature rosate di un ponte marmoreo. Tre giovani donne silenziose, appoggiate al parapetto, fissavano la gabbia di ghiaccio in cui era imprigionata la corrente zaffirina del fiume. Volteggiando sopra di loro, un falco maltese (o un corvo, forse) tracciava larghi anelli concentrici nell’aria immota.

Era la sera dell’Epifania. Da lontano giungevano i rintocchi di una campana che chiamava i fedeli alla messa di rito. Bill H. Fordgates Jr., uscito di casa, si mise a sedere presso il mare; e una grande folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito su uno yacht, vi sedette; e tutta la folla stava sulla riva. Egli insegnò loro molte cose in parabole, dicendo:

“C’è un Bazar nell’angolo remoto di Eurandia. Ma è un Bazar molto particolare: ci trovi le anime, anziché la mercanzia. E non c’è Mercato ma innanzitutto Valore. C’è l’Uomo. O meglio il Mercato c’è, ma viene dopo e premia solo chi capisce.”

“Già, ma capisce che cosa?”, chiese l’impiegato a Deckard, mentre tornavano a casa, dopo aver cenato con i pani e pesci serviti al buffet allestito sul bagnasciuga. Sam non rispose: fu distratto da un improvviso soffio di vento freddo che scompigliò i capelli biondo oro del giovane uomo che lo aveva interrogato. La temperatura si era abbassata e il Direttore delle Risorse Umane fu scosso da un brivido quando quello, non avuta risposta, continuò:

“È la domanda che mi sono sempre posto ascoltando il Gran Maestro della Modestia. Sì, so che Lui odia essere chiamato così: ‘Se sei Modesto come fai a essere Maestro e Grande per di più?’, mi chiese una volta infastidito, quando mi rivolsi direttamente a Lui per capire meglio il significato del Discorso dei Tre Mondi. E ha ragione. Quel che conta è il Messaggio, quel che conta è l’Esempio. Nel suo Bazar fa carriera solo chi si rende conto dell’Altro e realizza che il Nemico è in agguato, ma non fuori bensì dentro. Sì, dentro di te. Ha un nome buffo, eppure di successo, è ingombrantissimo, si chiama Ego. Ha lo stesso effetto di una droga: ti esalta, ti pone mete sempre nuove, ma mai definitive, promette la felicità, ma te la centellina, sadicamente: quando pensi di averla raggiunta, scompare. Come un malvagio Incantatore, ti illude sempre, ma tu ricominci e così ti rende dipendente.”

L’impiegato indossava una specie di saio leggero e trasparente, segnato da intricati disegni. Deckard riuscì a distinguere astrusi paesaggi, volti deformi di vecchi e bambini, enigmatici simboli di una lingua sconosciuta: immagini inesplicabili ma in qualche modo connesse intimamente alla sua esistenza, piante velenose e carnivore radicate nei recessi più segreti della sua anima. Staccando a fatica lo sguardo dagli indecifrabili arabeschi, vide che un uccello (un corvo? Un falco maltese? Non riusciva a decidersi) si era posato sul parapetto del ponte cui erano giunti. Dalle sue pupille crudeli sembrava si sprigionassero lampi sulfurei.

Il maestrale soffiava impetuoso adesso, portando con sé l’eco di cori sacri celebranti la gloria del Signore. Un timore irrazionale cresceva nel petto di Deckard, ma l’impiegato non sembrava essersene accorto.
“Il Gran Maestro compatisce quelli con l’Ego forte, ma non li condanna; li tiene nel Limbo, nella speranza che maturino.”
Il Limbo è stato dismesso, pensò Deckard. Stava per dire: “Non leggi le comunicazioni di servizio?”, ma non ebbe il coraggio di interromperlo.
“Gli altri, quelli che vengono assunti, s’ingegnano per conoscere il Segreto che permette di fare scaturire la poesia aziendale come se l’autore non ci fosse, o meglio fosse un autore collettivo, capace di attribuire valore a piccole cose o a grandi; di trovare le proporzioni della vita, e il posto dell’amore in essa, come quello della morte; di insegnare la durezza, la pietà, la tristezza, l’ironia, l’umorismo, e tante altre di queste cose necessarie e difficili. Quando lo apprendono, si meravigliano di loro stessi e del Gran Maestro, perché è semplicissimo. Si chiama il sé. È l’altra metà dell’Ego, per me la metà migliore. Nel Bazar di Eurandia ognuno impara innanzitutto ad ascoltare se stesso e, in tal modo, a scoprire la propria vocazione innata, che gli permette di lavorare con Leggerezza e Profitto. Lo Stress non c’è, esiste solo il Piacere. E quando ti senti bene, ti accorgi di una piccola, grande Magia. Anche in un Gran Bazar tutto fila a meraviglia. E ti accorgi di non essere solo, bensì collegato agli altri attraverso un filo invisibile che ti dà forza, come tu dai forza a loro. È la Ricchezza che porta Ricchezza; senza invidie né meschinità. È la Gioia che dà Gioia. E anche loro, i Clienti, sentono qualcosa nell’Aria; ed è persino divertente accoglierli. Vengono la prima volta, e poi tornano quasi sempre e sempre più volentieri; anche se non si rendono conto del perché. Sono spinti dai Denari, certo; dai Desideri ovviamente; dal Consumo ben inteso e, nei casi più estremi, dall’Istinto di Sopravvivenza, il che è perfettamente comprensibile. La Mercanzia in vendita è di Gran Qualità, ma tutto questo non basta a spiegare l’Attrazione.”

Mulinelli di nevischio stringevano Deckard e l’impiegato nel loro abbraccio soffocante, innalzando una barriera impenetrabile fra loro e la gente che, dopo aver assistito alla funzione religiosa, tornava a casa. Le parole arrivavano a Sam sempre più confusamente.

“Il Bazar è speciale perché c’è l’Armonia, perché il Gran Maestro sa gestire la Grande Unità che si manifesta attraverso la varietà dei Talenti e la gestione della Memoria. Tu sei tu e proprio perché in pace con te stesso riesci a capire gli altri, a valorizzarli. E il loro successo diventa il tuo. Anzi, Suo, anzi Nostro, di quel Bazar che è la Corporation gestita dal Gran Maestro della Modestia. Però, la prego Deckard, non Gli dica che l’ho chiamato così.”

Ma Deckard non lo sentiva più. L’angoscia che lo attanagliava gli deformava i lineamenti del viso, trasformandolo in una orrida larva, simile alla maschera di George Sanders in un celebre B-movie degli anni Quaranta. Il suo urlo si levò verso le stelle brillanti e una splendente cometa, quando si udì un suono secco, come il colpo di forbici che taglia un filo, e l’impiegato crollò a terra. Il falco maltese (o, forse, il corvo) si alzò in volo, strappò, con gli artigli robusti, l’abito di cui era rivestito il cadavere e si dileguò nella scintillante nerezza del cielo parato a festa.

Tratto da Le Aziende InVisibili, pp. 102-105.

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