Punto di partenza: l’organizzazione occamista
Entrato nel 1988 in Agip, ho riportato quello che considero il mio primo successo professionale quando l’azienda mi affida l’obiettivo di redigere una propria Carta dei principi d’impresa. Essendomi laureato con una tesi sull’Utopia politico-letteraria nell’Età della Controriforma (Le città ideali da Tommaso Moro a Tommaso Campanella) è stato semplice sostenere il management nel processo di definizione e di comunicazione di una nuova organizzazione ideale!
Forte di esperienze come questa, nella prima metà degli anni Novanta ho pubblicato una serie di saggi che descrive l’avvento di un “nuovo dominio manageriale in cui confluiscono, connettendosi e modificandosi reciprocamente, discipline un tempo separate”.
Tuttavia, scrivevo su Mondo Economico, il determinarsi del nuovo dominio manageriale è possibile solo all’interno dell’organizzazione d’impresa che in quel momento si stava affermando e, allo stesso tempo, esso è necessario per il corretto funzionamento di questo nuovo modello organizzativo. La nuova organizzazione cui mi riferivo si caratterizza per essere “piatta”, rapida, interfunzionale, reticolare. In una parola, l’organizzazione comunemente definita “post-tayloristica”, basata quindi non sulla massima divisione possibile del lavoro, ma sul principio opposto, vale a dire la massima compattazione possibile del lavoro e sulla riduzione delle entità non strettamente necessarie. Per questo motivo, l’organizzazione post-tayloristica può essere definita anche “organizzazione occamista”. Al filosofo Guglielmo da Occam (1300-1347) si fa infatti risalire la famosa frase “entia non sunt moltiplicanda sine necessitate” (le entità non devono essere moltiplicate oltre quanto è strettamente necessario). È il “rasoio di Occam” che gli stessi storici della filosofia chiamano “principio di economia”. In questa nuova organizzazione, la massima compattazione del lavoro genera una tendenziale interdisciplinarietà e quello che abbiamo definito un nuovo dominio manageriale.
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